Solo davanti al foglio di carta si sentiva vivo e provava la gioia di vivere. L’atto della scrittura equivaleva per John Steinbeck all’atto del respirare, ovvero naturale e indispensabile. Tuttavia, come rileva Fernanda Rossini nel libro “John Steinbeck, voce inquieta del sogno americano”, sulla soglia dei trent’anni si trovava a constatare, con profonda amarezza, che non aveva ancora pubblicato qualcosa di significativo. Tra l’altro, ha un urgente bisogno di denaro, sebbene possa contare sull’aiuto finanziario del padre. Decide quindi di mettersi alla prova scrivendo un testo che possa vendere bene al di là del valore letterario, convinto, sull’esempio di Joseph Conrad, che ciò che si vende davvero è solo il meglio o il peggio. Compone dunque “Omicidio sotto la luce piena”: un libro che, a suo dire, è costato più fatica e tempo a Carol, la sua compagna, per trascriverlo a macchina che a lui per pensarlo e scriverlo. Comunque non vuole che il suo nome sia abbinato a tale lavoro e chiede che venga pubblicato sotto lo pseudonimo di Peter Pym, nome scelto perché suona bene. Il tentativo si rivela un fallimento ma è anche l’occasione per una riflessione o, meglio, per una revisione del suo impegno letterario.
Il libro della Rossini segue, con sicura competenza e chiarezza espositiva, la parabola di Steinbeck lungo la quale si sviluppa, a tinte agrodolci, il celeberrimo concetto di sogno americano del quale lo scrittore fu insigne lettore, interprete e cantore. Da un lato, c’è la ferma consapevolezza che si tratta di un sogno lontano da un pragmatico e fruttuoso contatto con la realtà; dall’altro, si erge la coscienza dell’indispensabilità di tale sogno, che si manifesta principalmente in una nobile tensione alla libertà dell’espressione individuale e al superamento di pastoie, pregiudizi e stereotipi lesivi dell’identità della persona.
Nello scandagliare le dinamiche che regolano il pensiero di Steinbeck, l’autrice offre indicazioni interessanti sulla sua tecnica compositiva. Egli è consapevole della “ricerca di una nuova vitalità stilistica che sta attraversando la prosa letteraria del momento”. In Fitzgerald, Faulkner e Hemingway, in particolare, Steinbeck coglie gli sforzi per piegare il ritmo, il suono e la forma del linguaggio ai propri intenti narrativi, così che il significato dell’azione, delle scene e dei personaggi stessi assuma connotazioni simboliche che ogni lettore poi tesaurizza con la propria sensibilità. “E’ in questa direzione – sottolinea l’autrice – che dirige tutti i suoi sforzi con la testardaggine che gli è propria. Ha già sperimentato come il suono delle parole e la musicalità di una frase siano determinanti (l’abitudine a leggere ad alta voce quanto scritto è diventata una necessità costante), e adesso vuole che si compenetrino per formare il discorso armonico più idoneo a creare la sequenza narrativa, il paesaggio, i personaggi giusti per la storia che sta raccontando.
Il successo a lungo bramato arriva con “Furore” (1939), un romanzo, scrive la Rossini, che “non ha mai smesso di essere lodato o disprezzato”. Il libro è apprezzato dai socialisti come un inno alla forza del proletariato e al valore del lavoro; è stroncato come “degradante menzogna” dalle associazioni dei proprietari terrieri, nonché da ministri e da uomini politici. Il polverone che Steinbeck ha sollevato con questo romanzo, evidenzia l’autrice, “non si è ancora definitivamente depositato”.
La vita di Steinbeck, con il tempo, si configura come un itinerario di viaggio che non conosce sosta: egli stesso si descrive come un uomo “con la valigia sempre in mano”. Dal momento in cui lascia il suo amato ranch a Los Gatos, inizia per lui un periodo di continui spostamenti tra New York, il Messico, l’Europa e la California, dove torna sperando di mettere nuove radici. In questo frangente è anche convocato a Washington dal Foreign Information Service per partecipare ad un programma che utilizza film e trasmissioni radio per contrastare la propaganda nazista. Il suo lavoro è temporaneo e non ufficialmente riconosciuto, ma vi si dedica con solerzia, convinto che anche il suo contributo, per quanto marginale, sia importante per il Paese.