Un primo Gogol’ e un secondo Gogol’. Dopo la pubblicazione de “Le anime morte”, nel giugno del 1842 lo scrittore intraprese un percorso di approfondimento spirituale che portò ad una vera e propria svolta nella sua esistenza. Una svolta che destò nei suoi contemporanei non poco stupore. E non poteva essere altrimenti, considerando la marcata e spiazzante differenza tra l’uomo del passato e l’uomo del presente (e del futuro). “Si è in presenza di un altro Gogol’, in cui la ricerca interiore. lo scavo delle tematiche religiose, l’assiduità alla preghiera ne hanno fatto un vero discepolo di Cristo” scrive Lucio Coco nell’introduzione al libro “Nikolai Vasil’evic Gogol’. Non siate anime morte… Scritti spirituali inediti” (Torino, Nino Aragno Editore, 2022, pagine 150, euro 15). Lucio Coco, sulla base di un’alta ed egregia competenza, ha curato anche la traduzione e le note del volume con testo russo a fronte.
Una significativa testimonianza dell’itinerario di conversione è data proprio dai suoi scritti spirituali, che vengono presentati in questo libro per la prima volta in traduzione italiana. Si tratta di un gruppo di opere di argomento morale e religioso dove lo scrittore descrive le passioni, rileva Coco, che “infiammano e ottundono” l’animo umano, fornendone una lettura incentrata sulla morale cristiana. L’ira, il timore, l’insicurezza, la depressione: sono questi i temi trattati, al fuoco di un costante fervore analitico.
Ci fu chi contestò a Gogol’ l’essersi arrogato il diritto di parlare di Dio. La risposta a tale addebito è contenuta in una lettera del 20 aprile 1847: “Mi accusano – afferma – di aver parlato di Dio e che non ho il diritto di farlo, essendo io contagiato dall’amore proprio e da un orgoglio fino ad oggi inaudito. Ma che fare se anche in presenza di tali vizi nondimeno si parla di Dio?” A rincarare la dose ci aveva pensato il filosofo e critico letterario Belinskij sostenendo che la Russia vede la sua salvezza non nel misticismo, nell’ascetismo e nel pietismo, ma “nei successi della civiltà, dell’educazione, dell’umanitarismo”. Insomma la Russia, secondo Belinskij, non aveva bisogno né di predicatori e né di preghiere, ma del “risveglio nel popolo del sentimento della dignità umana”. Nello scambio epistolare tra i due emerge la volontà di Gogol’ di comunicare un messaggio fondato sulla consapevolezza che la dimensione spirituale non è una via di fuga dalla realtà: al contrario, la integra.
Nell’indagare il ventaglio dei moti dell’animo Gogol’ mostra una penetrante acutezza tale da rendere la lettura illuminante ed edificante. “Ho notato tra gli irosi – scrive – uno spettacolo compassionevole, che nasce dall’orgoglio nascosto in loro. Infatti essi si sono adirati per non essere riusciti a liberarsi dall’ira. Mi sono meravigliato vedendo che in loro il vizio seguiva al vizio e mi è rincresciuto che il peccato fosse mescolato al peccato, restando assolutamente stupito della furbizia demoniaca che quasi li aveva condotti a disperare della propria vita”.
Tante persone sono irretite dal timore, dall’apprensione e dall’insicurezza. Come è possibile superare tali ostacoli? Gogol’ indica la soluzione: la lettura del Vangelo e dei Sacri libri. “Noi – dichiara – non arriveremo più a fondo nel significato delle verità evangeliche, non ci fisseremo nell’amore di Dio piuttosto che della terra, finché ancora nella nostra testa ciò che è fondamentale si mescolerà con l’insignificante; finché questo e quello avranno davanti ai nostri occhi una portata equivalente”. Il timore, l’apprensione, l’insicurezza sono ancora dominanti e quindi non domati fino a quando “avremo paura non di Dio ma dell’uomo”, fino a quando “penseremo non a come non addolorare Dio ma solo a come non addolorare l’uomo”.
L’abbattimento viene definito da Gogol’ “il più grande dei peccati”. Di conseguenza, “quando solo una sua ombra ci raggiunge, dobbiamo rivolgerci a Dio e pregare con tutte le nostre forze”. In questo scenario svolge un ruolo fondamentale la preghiera: occorre, infatti, pregare sempre più sollecitamente finché l’anima non si ammorbidisce e si lascia andare alle lacrime”. Un uomo, ricorda Gogol’, non ha forze proprie. E chi fa affidamento sulla sua forza è “il più debole di tutti al mondo”. Alla luce di questa consapevolezza, lo scrittore esorta ad essere “forti della forza di Dio, non della nostra”. Proprio per questa ragione caratteri più solidi sono diventati solo coloro che sono stati provati nello spirito e sono arrivati ad essere in alcuni momenti della vita “i più deboli di tutti”.
Nel trattare il tema della gratitudine, Gogol’ sottolinea che chi ha ricevuto molte doti deve ringraziare Dio e far sì che la sua vita si trasformi, appunto, in un “inno di gratitudine”. E’ felice chi ha la qualità divina di piacere a tutti con “una congenita splendida chiarezza dell’anima”, ma è molto più felice chi, avendo vinto in sé tutte le bramosie irrefrenabili, ha acquistato “una leggiadra semplicità infantile e l’ineffabile grazia di un comportamento angelico con la gente, che la sua natura più sublime al cospetto di tutte inizialmente non aveva”. Egli può portare al mondo “bene e gioia molto di più di chi ha ricevuto tutto ciò dalla nascita e la sua influenza sulle persone è smisuratamente più forte e ampia”.
Vibra poi potente ed accorata, nelle “Preghiere”, l’invocazione al Signore, al quale Gogol’ chiede di fargli amare di più le persone, conservando il ricordo di quanto di meglio c’è in loro; di avere misericordia della povera gente; di chinarsi sull’impotenza dell’umanità e di aiutarla a rialzarsi; di non permettere al maligno di “impadronirsi di noi”. E toccanti sono le parole che lo scrittore rivolge ai suoi amici, che ringrazia per avere reso “molto bella” la sua vita. Nel congedarsi, consegna loro un messaggio di alto valore morale, imperniato sulla certezza che “la società migliora solo quando ogni singola persona si impegnerà e vivrà da cristiano”. Allora “tutto quanto andrà a posto, da sole si stabiliranno corrette relazioni tra le persone, si definiranno i limiti gusti per tutti. E l’umanità andrà avanti”. E quindi, solenne, a suggello di tutto, spicca l’esortazione: “Non siate anime morte ma vive”.