La teneva in un capanno, vicino alla sua abitazione, la bicicletta. Non la usava da tempo. Poi, di un tratto, decise di “riusarla”, elevandola ad opera d’arte. “Ruota di bicicletta”, realizzata a New York, nel 1913, è considerata il primo ready-made (oggetto prefabbricato pronto all’uso e al riuso) di Marcel Duchamp, pittore e scultore francese naturalizzato statunitense. Utilizzando alcuni elementi sparsi, l’artista pensò di confezionare una sorta di scultura all’insegna del più asciutto minimalismo, per dimostrare – in polemica antitesi alla pomposa solennità delle sculture dell’antichità – che bastano “disiecta membra” senza pretese di magnificenza per arrivare all’eccellenza della creazione artistica. Esponente di spicco del fauvismo e del cubismo, nonché alacre animatore del dadaismo e del surrealismo, nel segno di una spumeggiante versatilità Duchamp giunse a teorizzare le virtù dell’assemblaggio, di cui rivendicò, con fiero orgoglio, il valore artistico. “Ruota di bicicletta” rientra perfettamente in questa narrativa tanto da costituire una delle principali icone della sua sbrigliata e briosa produzione. L’opera è composta da una ruota di bicicletta dal diametro di 63,8 centimetri, montata sopra uno sgabello in legno verniciato. La ruota è fissata sullo sgabello per mezzo di una forcella: in questo modo essa può ruotare sia attorno all’asse di quest’ultima, sia attorno al proprio centro. Il movimento però non ha alcuna funzione, perché la ruota non tocca terra e non provoca spostamento. Con quest’opera Duchamp, per sua stessa ammissione, intendeva “mettere in discussione” il concetto stesso di arte e creare “un qualcosa” che non avesse una dichiarata dimensione estetica. L’opera, infatti, non nasceva per essere esposta, ma si configurava come un “esperimento personale”.