Guardando fissamente l’osservatore attraverso il filtro di un disarmante candore, Esopo è raffigurato nell’omonimo quadro di Velazquez (1639-1642) con un’espressione ironica, che suggerisce un atteggiamento di delusione verso l’umanità non privo d’indulgenza. Lo scrittore greco antico, noto per le sue “Favole”, edificanti e di grande spessore morale, è dunque preso a modello di virtù dall’artista spagnolo: un modello da opporre ad una storia, che si perpetua attraverso i secoli, segnata da ingiustizie e misfatti. Velazquez dipinge il soggetto come fosse un suo contemporaneo. Volutamente lo sottrae dal passato, cui appartiene da un punto di vista meramente biografico, per sottolineare il valore sempre attuale della sua lezione etica. Il cappotto che Esopo indossa sembra, di primo acchito, un capo di vestiario dozzinale. Ma a ben guardare, esso ha il pregio di una semplicità fine ed elegante, come a indicare che al nitore interiore dello scrittore corrisponde un aspetto esteriore caratterizzato da un’essenzialità ispirata a un signorile decoro. Esopo tiene nella mano destra un libro, che si suppone contenga le sue “Favole”. Accanto a lui è collocata una tinozza, coperta in parte dalle falde del cappotto: essa serve ad accrescere il senso di scarna frugalità che contraddistingue la scena. La tela mostra un impasto denso di pennellata ampie, una tecnica pittorica che anticipa lo stile che sarà di Manet. I bruni dominano la gamma dei colori, accentuando così la semplicità del soggetto. Più di un critico ha sottolineato che il fiore all’occhiello del quadro è dato dagli occhi di Esopo. Sono semichiusi, le pupille sono quasi accennate, ed è dunque difficile per lo spettatore distinguerli con nitidezza. Eppure essi hanno la capacità di scrutare nell’animo dello spettatore stesso come se interrogassero, con sapiente e discreto disincanto, la sua coscienza.