Ingres era stanco di sentirsi dire che il suo stile era così forbito e cristallino da risultare talora stucchevole e arido. La sua ansia di perfezione, che si manifestava nel disegnare forme di signorile pulizia formale, rischiava di produrre un disturbante effetto di saturazione. Che il suo pennello, dunque, fosse meno togato e inamidato, per diventare più elastico e disinvolto, esortavano i critici. Il pittore francese, a questa platea, tanto impaziente quanto incompetente, volle dare una lezione, per dimostrare che l’imperturbabile nitore figurativo e prospettico di un quadro non dipende necessariamente dall’impeccabile rigore delle forme geometriche chiamate a garantire l’equilibrio compositivo di una tela
Ingres dipinse così “La viscontessa d’Haussonville” (1845), a quel tempo rinomata intellettuale, nonché sulla breccia per le sue idee apertamente progressiste. Dove risiede la lezione contenuta nel quadro? Essenzialmente in due elementi: il braccio destro e la mano sinistra della donna.
La figura della viscontessa certo non smentisce l’impostazione classica propria di Ingres: la sua compostezza e la sua grazia eccellono. Se il quadro lo si guarda distrattamente, si rischia però di non accorgersi dell’anomalia (ovviamente voluta da Ingres) rappresentata dal braccio destro, che sembra sbucare dallo sterno, in contrasto con il braccio sinistro, giudiziosamente in conformità con la linea fisiologica della donna. E il riflesso, sullo specchio posto dietro al soggetto, della mano sinistra non è coerente nella realtà. Non corrisponde come dovrebbe.
Eppure – ecco la rivincita di Ingres – nessuno potrebbe dubitare dell’armonia della composizione, quell’armonia fiore all’occhiello della narrativa pittorica di Ingres, contestata da chi, invece, avrebbe gradito, tramite l’inserimento di elementi fuori asse, una disarmonia, disinvolta e sbarazzina. Il fatto è che il quadro vale a confermare un assunto consolidatosi nel tempo, vale a dire che Ingres – pur introducendo, per sfida, segmenti spuri e prospettive improbabili – risultava essere sempre e comunque l’artista della dimensione puramente classica: una dimensione che nessuna variazione dalla norma, per quanto audace, può incrinare.