Colti in flagrante durante un furto, Rocky e Jerry, due giovani ladruncoli, cercano di sottrarsi alle grinfie della polizia e si danno alla fuga. Jerry è più veloce e riesce a scappare, Rocky è più lento e viene preso. Nel capolavoro del regista Michael Curtiz, “Gli angeli con la faccia sporca” (1938), il protagonista è il contrasto, dal potere catartico, tra la luce e l’ombra. In ciascuno di noi c’è un angolo in cui risiedono, insidiose, le tenebre. Ma vi sono anche recessi in cui giace, pronta ad emergere, l’eroica tensione al gesto che redime. Angeli con la faccia sporca, appunto. Dopo quell’episodio Jerry decide di farsi prete e in tale veste si dedica ai giovani di un quartiere povero di New York per impedire che finiscano come Rocky. Questi, uscito da riformatorio, viene irretito nel vortice della malavita: diventerà presto uno dei gangster più temuti della città. Nel frattempo le sue “gesta” finiranno per esercitare un’influenza nefasta sui giovani del quartiere che Jerry (ora padre Connolly) sta seguendo con amorevole attenzione. I complici di Rocky tenteranno di uccidere il prete (considerato scomodo) ma il gangster, scoperto il piano, in virtù dell’antica amicizia li stermina. Asserragliato dalla polizia all’ultimo piano di un palazzo, Rocky viene infine arrestato e condannato a morte. Padre Connolly, in carcere, gli chiederà di morire da vigliacco, e non da “duro”, così da distruggere l’immagine carismatica che i giovani del quartiere hanno di lui. Da principio rifiuta, ma poi “farà il vigliacco”, e i giornali ne daranno notizia, con grande delusione dei ragazzi. Un mito è crollato ai loro occhi. Padre Connolly li andrà quindi a trovare, e li inviterà a pregare per “un uomo che correva meno veloce” di lui.