Non solo avaro, ma anche vanitoso. Quando divenne primo ministro, Winston Churchill dovette rispettare l’obbligo, imposto dal protocollo, di fare regolari dichiarazioni, alla Camera dei Comuni, sull’andamento della guerra. I parlamentari rimanevano costantemente impressionati dalla forza e dall’incisività dei suoi discorsi. Tuttavia essi non avrebbero mai derogato al principio secondo cui ogni enunciazione e i dibattiti che si sviluppavano intorno ad essa non poteva essere registrati: infatti non erano gradite installazioni tecniche e logistiche che, a loro dire, avrebbero inficiato la carismatica solennità dell’aula.
Nel frattempo il presidente americano Franklin Delano Roosevelt poteva rivolgersi al Congresso alla presenza di televisioni di tutto il mondo, con i microfoni disposti davanti a lui come le piume di un pavone.
Questa rimarchevole differenza di scenario non poteva non urtare Churchill, che si vedeva privato di un palcoscenico dove esibire, non senza un elevato grado di immodestia, la sua indiscussa abilità di oratore. Di fronte all’intransigenza dei parlamentari, il primo ministro fu costretto a registrare i suoi discorsi alla radio: in sostanza, ogni volta doveva ripetere lo stesso discorso (spesso molto lungo) due volte. La sua vanità venne così, almeno in parte, soddisfatta, dopo aver definito il Parlamento “ostile e colpevole”.
Come fecero notare i cronisti dell’epoca, per motivi di tempo e di spazio i discorsi pronunciati in Parlamento non potevano essere gli stessi discorsi che sarebbero stati registrati alla radio: per rispetto della brevità, dovevano essere sacrificate – nell’ambito del suo spumeggiante repertorio – quelle battute sarcastiche, indirizzate all’opposizione, fiore all’occhiello del suo eloquio. Ferito nell’orgoglio, Churchill non perdonò mai al Parlamento questo compromesso.