Quelle quasi impercettibili fossette sulle guance, alla luce di un sorriso, hanno incantato, e continuano a incantare, generazioni di spettatori. E a quelle fossette s’inchinò anche Hollywood. Un’intrigante miscela di fascino, dolcezza e classe, condita dalla disarmante capacità d’interpretare un’ampia gamma di ruoli, ha fatto di Ingrid Bergman una delle icone più rappresentative del cinema: icona che il passare del tempo non ha scalfito, né appannato. All’età di undici anni vi fu l’illuminazione, grazie alla quale capì quale corso avrebbe intrapreso la sua vita: il padre la condusse a teatro e in quella occasione la bambina si convinse che sarebbe diventata un’attrice. Aveva saputo vedere lontano e nel suo successo trova conferma una grande verità enunciata da Thomas Mann: “Il talento di una persona consiste nel crearsi un destino”. Due infatti gli Oscar vinti: come migliore attrice per “Angoscia” (1945) e per “Anastasia” (1957). Per “Assassinio sull’Orient Express” le fu assegnata la statuetta come migliore attrice non protagonista. Fu nel 1936 che ebbe luogo la prima consacrazione con il film “Intermezzo”, in cui interpreta un’insegnante di pianoforte: sarà il suo passaporto per Hollywood, tanto colpirono quegli occhi in cui brillava una vellutata tenerezza. Ma dietro il suo sguardo dolce e seducente si nascondeva una determinazione di ferro: tanto che anche durante la gavetta era solita opporre una tenace resistenza quando il regista tentava di affibbiarle a priori una parte, senza un’adeguata valutazione delle complesse dinamiche che ogni film comporta. “Detesto i ruoli imposti” affermava. Ingrid maturò quindi la consapevolezza che per guadagnare uno scranno nell’empireo delle grandi attrici avrebbe dovuto varcare i confini della sua amata Svezia. E ben sapeva che l’unica via per raggiungere tale obiettivo era interpretare un ruolo da protagonista in un film destinato a fare epoca. Il destino era lì, dietro l’angolo: “Casablanca”, del 1942, con un attore che era già un mito, Humphrey Bogart. In verità questa pellicola, da principio, non si riprometteva di lasciare chissà quale impronta. Prova ne sia che fu girata a basso costo. Ma l’intesa sullo schermo con Bogart fu magica. E se qualche critico cinematografico aveva ancora qualche dubbio circa le sue qualità di attrice, venne definitivamente smentito l’anno successivo quando, accanto a un altro mostro sacro, Gary Cooper, interpretò Maria nel film “Per chi suona la campana”, tratto dall’omonimo romanzo di Ernest Hemingway sulla guerra civile spagnola. La parte della protagonista, all’inizio, era stata affidata a una certa Vera Zorina: fu lo stesso Hemingway a storcere il naso di fronte a questa scelta e pretese che fosse Ingrid la “sua Maria”. Anche in questo caso (come in “Casablanca”) la scena finale la vede in lacrime. Quando la pellicola cominciò a circolare, un critico scrisse: “Sfido a trovare uno spettatore che non abbia pianto con lei”. La grandezza di Bergman si misura proprio sulla sua capacità di far piangere e di far ridere. Si pensi a una delle commedie più celebrate degli anni d’oro di Hollywood, “Indiscreto” (1958), accanto a uno spumeggiante Cary Grant. Le sue fossette, mai così intriganti come nella scena in cui cerca di far ingelosire il suo uomo (vuole vendicarsi di lui perché ha scoperto che si finge sposato per non sposarsi veramente) sono una sorta di manifesto di una comicità che – grazie al gioco pirotecnico di scintillanti dialoghi e mordaci schermaglie verbali – raggiunge vertiginose altezze. La carriera di Ingrid Bergman conobbe una tappa importante in Italia. Dopo aver visto il film “Roma città aperta” annotò nel suo diario di essere rimasta “folgorata”: stessa sensazione la provò per “Paisà”. Decise allora di scrivere al regista Roberto Rossellini (che sarebbe diventato suo marito) una lettera in cui si dichiarava pronta a recitare per lui. “Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla inglese molto bene, che non ha dimenticato il suo tedesco, non si fa quasi capire in francese, e in italiano sa dire solo ‘’ti amo’, sono pronta a venire in Italia per lavorare con lei” ammiccava Ingrid. E poco dopo verrà girato il film “Stromboli” (1950). Ma come talvolta accade anche ai migliori attori, non tutti i film in cui recitò furono un successo. “Il peccato di Lady Considine” (1949), diretto da Alfred Hitchcock, fu un vero e proprio fiasco. Si dice che l’attrice, di fronte agli spietati strali lanciati dalla critica, ebbe un collasso nervoso. In soccorso le venne lo stesso Hitchcock che, con il suo consueto diabolico umorismo, per confortarla le disse: “Coraggio, del resto è solo un film”.