Ancora oggi, nelle accademie militari, costituisce una materia di insegnamento la strategia che Napoleone adottò nella celebre battaglia di Austerlitz (1805), in cui – concordano gli storici – il suo genio si dispiegò con abbacinante fulgore. Il primo ad esserne consapevole fu lo stesso stratega che avvertì in sé l’urgenza di fissare in un testo scritto le dinamiche e le mosse che avevano costituito l’architrave della vittoria. Quel manoscritto (battuto all’asta nel gennaio scorso) fu dettato da Napoleone al suo fedelissimo generale Henri-Gatien Bertrand (tanto fedele al punto da condividere con lui l’amara esperienza dell’esilio) nell’isola di Sant’Elena, luogo concreto e luogo simbolico. In mezzo all’oceano Atlantico e negli artigli di una solitudine che infliggeva continue ferite nell’inesorabile passare del tempo, Napoleone volle rievocare, con giustificato orgoglio, la sua più bella vittoria per riscattare la sua sconfitta più cocente, quella di Waterloo (1815). Quel manoscritto si richiama al passato ma lo sguardo di chi dettava era diretto al futuro: che i posteri venissero a conoscenza e quindi apprezzassero senza riserve il suo genio militare!
Il manoscritto è lungo settantaquattro pagine e presenta numerose correzioni apportate da Napoleone il quale – come Giulio Cesare, ovvero un altro modello supremo di strategia militare – non solo era uso a dettare le missive, talvolta contemporaneamente, ma era anche scrupoloso nel rivedere il testo, con rigore critico, a stesura completata. A prima vista, anche ad un lettore esigente, tale testo poteva risultare senza pecche. Ma non per Napoleone (e nemmeno per Giulio Cesare): questa acribia spiega il florilegio di annotazioni – che riguardano anche la punteggiatura – disseminate nel prezioso documento. Come ebbe a dire il fido, nonché paziente generale Henri-Gatien Bertrtand, la battaglia di Austerlitz aveva rappresentato la perfezione sul piano della strategia militare: il manoscritto che ne rievocava l’afflato e le gesta doveva essere ugualmente perfetto.
La sera prima della battaglia, Napoleone annotava: “Mi dispiace, anzi mi addolora il pensiero che domani perderò sul campo tanti uomini valorosi che combatteranno al mio fianco. E’ questo un sentimento che non deve provare chi è uso alla guerra e che punta alla gloria. Ma non posso non provarlo, e mi domando dunque, alla luce di questo sentire, se sono ancora un uomo capace di fare la guerra”. Nel manoscritto egli tesse gli elogi di tutti coloro che si sono cimentati nell’impresa. “Lessi negli occhi anche del soldato semplice la ferma determinazione a vincere. Anche il soldato semplice non era sfiorato dall’idea che si potesse perdere”. Significativo è anche il passaggio in cui Napoleone mostra un atteggiamento magnanimo nei riguardi del nemico. “Non posso non riconoscere – scrive – coraggio e valore anche in coloro che hanno combattuto dall’altra parte della barricata”.
La battaglia di Austerlitz – che sancì la fine del Sacro Romano Impero – fu combattuta, il 2 dicembre, tra la grande armata francese (73.000 uomini) e l’armata congiunta, formata da russi e austriaci (oltre 85.000 uomini) e comandata dal generale russo Kutuzov. Dopo aver distrutto un’intera armata austriaca durante la campagna di Ulma, le forze francesi avevano occupato Vienna l’11 novembre 1805. Gli austriaci erano riusciti ad evitare ulteriori combattimenti fino all’arrivo dei rinforzi russi. A Napoleone serviva dunque una vittoria decisiva. Per attirare gli avversari sul terreno di battaglia, finse di trovarsi in grave difficoltà facendo ripiegare le sue avanguardie e indebolendo deliberatamente il suo fianco destro. I generali austro-russi concentrarono la maggior parte delle forze contro la destra francese, sguarnendo il centro del loro fronte, che subì un attacco tanto sorprendente quanto violento. Dopo il crollo del centro nemico, i francesi poterono sbaragliarne anche i fianchi dello schieramento. Seguì la fuga disordinata dei soldati russi e austriaci, molti dei quali furono fatti prigionieri. L’audacia di Napoleone – il fingersi debole avrebbe potuto produrre a suo svantaggio conseguenze irreparabili – viene tradizionalmente equiparata dai libri di storia all’audacia di Annibale nella battaglia di Canne (216 a.C.), che segnò una delle sconfitte più dure subite dall’esercito romano.