E’ dagli influssi della poesia sepolcrale anglo-germanica che Ugo Foscolo eredità il tema, a lui particolarmente caro, della tomba. Imbevuto della temperie culturale del tardo Settecento, il poeta e scrittore – oltre alle figure classiche tradizionali quali Omero, Virgilio, Petrarca – si richiamava agli autori cosiddetti “esotici”, come Gray e Ossian. La sua poesia è percorsa da un’ansia metafisica che dette lo slancio a violare le leggi della materia al fine di creare le condizioni per un mondo accarezzato dalle illusioni e ingentilito dagli effetti. L’obiettivo di lenire le sofferenze legate al senso d smarrimento dell’animo irretito in un mondo ruvido, privo di dolcezze, porta Foscolo ad agitare il fantasma della gloria, sul piano etico e sociale, o ad evocare il mito della bellezza serenatrice e del potere umanizzante della poesia, nella dimensione estetico-civile.
Come scrive il critico Raffaele De Luca, in virtù della capacità di affidare alla parola poetica il compito di esprimere la passionalità della sua fantasia, Foscolo riesce a dare “vita eterna” ai suoi fantasmi ideali (gli eroi dei “Sepolcri”, il mondo edonico delle “Grazie”), ma sul piano razionale persiste una prospettiva nichilistica, conseguenza del sovvertimento delle istanze trascendentali operato dalla speculazione sensistica-naturalistica del Settecento. Sul piano sociale, questa visione pessimistica è suggellata dalla mancata attuazione delle riforme proposte dai Giacobini, destinati ad assistere all’instaurazione della tirannide napoleonica.
All’interno della visione immanentistica del moto delle cose, assume contorni ben definiti l’immagine della tomba come sacrario della vita degli affetti e come celebrazione delle virtù etiche e civili. Foscolo mirava ad una poesia assoluta, che raffigurasse una verità umana colta nel suo divenire storico.
Primi accenni alla tomba si incontrano nell’ode “A Saffo” (1794), in cui si parla, nel segno di una mesta elegia, di un amore che piange: “Ma pur tra poco scendere fra tetre ombre vedrai – ma amante ancor – ma amante ancor, non spegnesi un vivo amor giammai”. E intorno al motivo della tomba si articolano i sonetti per la morte del padre.
Le parole che ricorrono in relazione al concetto di tomba, sia nei versi giovanili che in quelli della maturità, sono “cenere”, “pietra”, “sasso”, “ossa”. Vocaboli alternativi sono “antro” e “urna”. Significativo poi è il fatto che nel sonetto “Alla sera” il termine “tomba” non è direttamente menzionato, ma ad essa si richiamano espressioni quali “fatal quiete”. La sera stessa si lega all’idea di morte perché suggerisce il sentore di una quiete sepolcrale, che ha il potere di liberare l’animo dalle esperienze dolorose.
Il dramma umano di Foscolo – rileva De Luca – supera di intensità e di significato il naufragio dell’Ulisse omerico che, dopo tante peripezie, riesce a baciare “la sua petrosa Itaca”. Invece il poeta non toccherà più le sacre sponde” della sua Zacinto. Le “acque fatali”, che per Ulisse hanno fatto da tramite per il suo ritorno in patria, sono per Foscolo il simbolo del suo perenne naufragio di vivente. All’Ulisse, eroe del ritorno, si oppone dunque il poeta, eroe del non-ritorno, e così la tomba viene ad essere caratterizzata e suggellata dall’immagine – al contempo commovente e desolata – di una “illacrimata sepoltura”.