Un solo naso, enorme, e tante identità. Forse troppe. Anche il giorno in cui nacque, a Parigi, Savinien Cyrano de Bergerac è avvolto nel mistero e si sottrae al suggello della saggezza. Alcune fonti indicano il 6 marzo, altre il 13, altre ancora il 17. Correva l’anno 1619. Un fatto è tuttavia sicuro: la figura di Cyrano – filosofo, scrittore, drammaturgo – è stata un fonte ricca di suggestioni sul piano letterario, dalla quale sono scaturite opere che hanno ricamato intorno al suo temperamento bizzarro ed estroso, beffardo e non di rado irriverente. A renderlo immortale è stato Edmond Rostand, che scrisse il capolavoro che porta il suo nome.
Ma Rostand non fu il solo ad “appropriarsi” dell’identità di Savinien, il quale, in verità, ha sofferto molti furti di identità. Già nel Settecento circolavano libretti ed opuscoli che attingevano a piene mani dalla vita vulcanica di Cyrano, il quale esibiva due talenti d’eccellenza: l’abilità di spadaccino e la capacità di scrittura, frondosa e accattivante. Il fatto che fosse anche irrispettoso delle istituzioni lo reso ben visto, e quindi si configurò come un terreno fertile per ulteriori opere a lui ispirate nell’epoca dell’Illuminismo, quando si invitava il singolo e la collettività a corrodere -attraverso l’uso della ragione – false certezze artatamente imposte e supinamente accettate. Nel Novecento la fama di Cyrano rivive, in particolare, in due film: quello del 1950, con José Ferrer, e quello del 1990, nel quale a brandire la spada e a praticare la fluente eloquenza è Gérard Depardieu.
La figura di Cyrano de Bergerac è stata trattata con diverse gradazioni non solo sul versante letterario: anche in vita suscitò valutazioni differenti. Venne infatti considerato un esponente del libero pensiero, uno scienziato incompreso, un libertino senza né arte né parte. Si arrivò a definirlo un alchimista dotato di poteri magici.
Quel suo grosso naso finì per risultare un tratto elettivo, portato con fiero orgoglio. Del resto, egli stesso, nel 1640, ebbe a scrivere: “Un grande naso è il segno di intelligenza, di affabilità e di un animo gentile. Un piccolo naso sta a significare l’opposto”.
La storia d’amore che Rostand seppe intessere, facendola ruotare intorno alle tre figure di Curano, Rossana e Cristiano, fu un colpo da maestro. Cristiano è bello, Cyrano è brutto, entrambi amano la stessa donna. Ma tra i due pretendenti non si sviluppa la rivalità. Al contrario, verrà a saldarsi un’amicizia ferrea. Le lettere d’amore che Cyrano scrive per Rossana (la quale crede che a vergarle sia Cristiano) rappresentano un’opera d’arte, in cui convergono la finezza della scrittura, la corrosività della satira e la sensibilità di un animo nobile. Cosicché il lettore di ogni tempo perdonerà a Rostand, o meglio a Cyrano, le licenze poetiche forgiate con la spada in pugno. E quell’immortale “ed al fin della licenza io tocco!” assurge a simbolo di un mondo che identifica nella libertà di un verso la sbrigliata esuberanza di una vita che – anche attraverso il travaglio di un amore non corrisposto – cerca disperatamente di riscattare l’anonimato e di vincere la solitudine.