Più volte Eugenio Montale ha fatto riferimento (non solo nelle opere ma anche in occasione di interviste e di incontri di studio) all’”effetto disgregante” che la società tecnologica ha sull’esistenza umana e, al contempo, in termini di complementarità, alla funzione catartica della poesia. In “Della poesia oggi” dichiara: “La nuova poesia è fisiologicamente toccata dalla civiltà meccanica del nostro tempo, ma supera, quando lo supera, il suo ambiente. Se un giorno sparissero le macchine, rimarrebbero appunto le poesie d’oggi”.
Mentre la cultura scientifica del suo tempo frantuma e degrada l’esperienza, la poesia, che ritrae tale cultura, al contrario agisce organicamente. In un’intervista Montale confessava di aver sentito sin dalla nascita “una totale disarmonia!” con la realtà che lo circondava. Di conseguenza la materia della sua poesia non poteva che essere quella disarmonia. Al riguardo, puntualizzava: “Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni”.
In sostanza Montale si fa portavoce della dimensione astorica della poesia. Anche se consapevoli degli effetti deleteri sortiti da guerre e da regimi totalitari, i poeti, tali effetti, sono in grado di trascenderli. I veri poeti sono coloro che vivono in spazi periferici della società, ma, ciononostante, la sovrastano. “Ossi di seppia” – la cui prima edizione è apparsa nel 1925, cioè pochi anni dopo la prima guerra mondiale mentre il fascismo si consolidava – ritrae sia l’estraniamento di un soggetto poetante che vive in una “civiltà meccanica”, sia la sua ricerca di una cura attraverso la lingua poetica. L’opera è ambivalente: presenta un forte desiderio di annullamento e un desiderio, altrettanto forte, di vitalismo.
Numerosi critici hanno riconosciuto in “Ossi di seppia” un’opera dominata da una visione nichilista del mondo. In “Eugenio Montale: poeta fisico e metafisico”, Pietro Pancrazi riscontra nella raccolta poetica un’insistente aspirazione al nulla. Paragonando i crepuscolari a Montale, Pancrazi afferma che, mentre i primi “di quel niente” si compiacevano, Montale “su quel niente” s’impunta. Dal canto suo, Pier Vincenzo Mengaldo rileva che gli “Ossi” sono caratterizzati da una volontà di negazione. In realtà il nichilismo è controbilanciato da una decisa reazione ad esso. Da un lato, l’opera critica una logica produttiva che inibisce gli istinti più genuini; dall’altro, esprime l’esigenza di trovare un sollievo al disagio determinato da tale logica.
In “Ossi”, afferma Paola Sica, s’innesca la ricerca di una gioventù ideale, da intendersi non come una tappa biologica dell’esistenza, ma come una categoria sociale immaginata in cui si rinnova un rapporto cordiale tra l’individuo e il mondo. Nella raccolta, la gioventù spesso riflette una sfida alle regole sociali e rende più vicini ai ritmi della natura. “Alla gioventù – scrive Paola Sica – si associa la percezione di una liberante temporalità sincronica, che si oppone alla percezione di un’opprimente temporalità lineare imposta dal mondo della produzione”. Nelle poesie di “Ossi di seppia” il desiderio di rinnovamento che si riconduce alla gioventù è espresso attraverso la voce poetante di un uomo che tenta di superare la sua crisi esistenziale.
“Quest’uomo – sottolinea la Sica – disprezza coloro che accettano in modo acritico le leggi della società borghese”. Nella poesia “Non chiederci la parola che squadri da ogni lato”, l’io lirico si distanzia dall’”uomo che se ne va sicuro” e che “l’ombra non cura che la canicola stampa sopra uno scalcinato muro!”. L’io lirico, cioè, prende le distanze da colui che, guidato da un’indiscussa fiducia nella ragione umana, non fa attenzione all’”ombra” di un’esistenza più completa.