Al vetriolo furono gli strali lanciati da Voltaire contro Shakespeare, definito dal filosofo francese “un genio senza il minimo buon gusto”, e reo di aver prodotto “un enorme letamaio” dal quale, comunque, era possibile estrarre “qualche perla”. Non risultano meno velenosi i dardi scoccati da Nabokov all’indirizzo di Dostoevskij che, nel celebre libro “Lezioni di letteratura russa”, gli riconosce solo “lampi di eccellente umorismo”. L’assunto è chiaro ed inequivocabile. Dostoevskij “non è un grande scrittore, ma è piuttosto “mediocre”: dissemina le sue opere di “banalità letterarie”.
Nabokov lo incolpa di “mancanza di gusto” e gli imputa il fatto di lasciare i suoi personaggi a “sguazzare nelle tragiche disavventure della dignità umana”. Dostoevskij “strizza” i vari soggetti dei suoi romanzi per estrarre da loro “fino all’ultima goccia di pathos”.
Per Nabokov il vero genio della letteratura russa è Tolstoj, perché capace di “visualizzare” i personaggi, ovvero di plasmarli con la sostanza di cui è fatta la vita. Dostoevskij, invece, è “teatrale”, manca di semplicità, e dunque di verità. In lui, proprio per amore dell’effetto teatrale, tutto si complica: non è questa la via, secondo Nabokov, da cui passa la vera arte. “Si direbbe – scrive – che Dostoevskij fosse stato scelto dal destino della letteratura russa per diventare il più grande drammaturgo nazionale, ma che imboccò una strada sbagliata e si mise a scrivere romanzi”.
Rompendo gli argini entro i quali contenere una valutazione schietta, ma non necessariamente irriverente, Nabokov arriva ad affermare che Dostoevskij è stato “un profeta troppo prolisso” che ha scritto “romanzi illeggibili”. E lacerato il velo della diplomazia, dichiara: “I lettori russi non comprendono due cose: che non tutti i russi amano Dostoevskij e che la maggior parte dei russi che lo amano, lo venerano come mistico più che come artista. Era un paroliere, un commediante avventato”. Poi sembra fare una lieve inversione di marcia ma, in realtà, l’effetto è ancora più corrosivo. “Ammetto – scrive – che alcune delle sue scene, alcune delle sue tremende farse, siano straordinariamente divertenti. Ma gli assassini sensibili, le prostitute dall’anima pia, non possono essere sopportati più di un attimo”. Nabokov rileva poi che lo scrittore non è mai andato oltre l’influenza che il romanzo poliziesco europeo e la novella sentimentale hanno esercitato su di lui. Si tratta di “un’influenza affettiva” che implicava quel tipo di conflitto che a Dostoevskij piaceva tanto, ovvero “mettere persone virtuose in situazioni patetiche”.