Un ruolo nevralgico nei romanzi di Guido Piovene è svolto dalla natura e dal paesaggio, sui quali lo scrittore investe in termini affettivi essendo conferito un pronunciato rilievo alla sua città natale, Vicenza, e, più in generale, alla regione di riferimento, il Veneto. In “Viaggio in Italia” (opera che Montanelli raccomandava quale testo obbligatorio a scuola per la sua estrema lucidità nel sondare “le pieghe e le piaghe” del Paese) così Piovene scrive del Veneto: “Tutta la provincia è bella. La montagna del Vicentino è d’un pittoresco romantico. Il mio cuore però resta sui colli Berici, specialmente nel tratto che sovrasta Vicenza. Io sogno questi luoghi quasi ogni notte, e nei momenti d’ansia con dolcezza quasi ossessiva. Questa piccola parte della terra è per me veramente il grembo materno”. E in un’intervista dichiarava: “C’è un fatto curioso in me, una sorta di monomania, per cui certi oggetti, certi simboli ritornano sempre. Più o meno centrali, in una luce magari diversa, ma questi oggetti sono sempre gli stessi. Per esempio, quella casa, sempre quella, sempre la stessa. Così il ciliegio. Evidentemente sono simboli, ma simboli che mi cuociono dentro da sempre e che interpreto in diversi modi”.
In un illuminante saggio la studiosa Marie-Luise Caputo-Mayr spiega che nelle opere di Piovene si possono distinguere due differenti atteggiamenti nei riguardi della natura. Quello che caratterizza il primo ciclo di romanzi (1941-1949) e che porta l’autore ad esprimere un’interazione psicologica tra il personaggio e il paesaggio, di grado variabile, fino ad un acme in cui il paesaggio acquista la funzione di “guida morale”; e quello che segna il secondo periodo creativo (cui appartengono “Le furie” del 1963 e “Le stelle fredde” del 1970) e che determina un’evoluzione in virtù della quale la natura e il paesaggio diventano per lui uno strumento per vivere “un’esperienza metafisica”.
Alcuni personaggi tratteggiati da Piovene non sentono la bellezza della natura in maniera diretta, ma la vedono filtrata attraverso il confronto con quadri ed opere d’arte. Questa prospettiva si intravede, nota la studiosa, in un passo del libro “De America”, in cui lo scrittore riflette sulle dinamiche della natura nordamericana, alla quale mancherebbe “quel tramite tra l’uomo e la natura che è l’arte”, un tramite che invece esiste in Europa. Più frequentemente paesaggio e natura si trovano in intima relazione con l’indole del personaggio che li guarda e che si abbandona alle impressioni ricevute. Rita Passi in “Lettere di una novizia” e Giovanni Dorigo ne “La Gazzetta nera” vedono le qualità della loro anima riflesse nel paesaggio che li circonda, e come il paesaggio il loro carattere è sfumato e indefinito. Di conseguenza il paesaggio vicentino, concepito da Piovene come “evasivo”, finisce per trasformarsi in esperienza psicologica del personaggio, nel segno di una dichiarata dimensione panica.
Tale dimensione è riscontrata da Piovene in Fogazzaro (anch’egli di Vicenza). In un articolo del 1942, intitolato “Fogazzaro e il paesaggio vicentino”, Piovene sottolineava come fosse spesso “totale” l’identificazione tra paesaggio e personaggio. Così affermava: “Nelle opere di Fogazzaro il paesaggio si muove come un protagonista della storia e in sé ne raccoglie i sentimenti”. E dalla dimensione panica si passa, attraverso il filtro della natura, alla dimensione morale. Sempre Rita Passi, in “Lettere di una novizia”, coniuga sensazioni estetiche e giudizio etico. Nel commentare la sua esperienza di vita. dichiara: “Io non sono una santa, ma non sono cattiva. Non potrei sentirmi cattiva proprio ora che la mia anima risponde con tanta fragranza a questo bel chiaro di luna”.