Ai suoi tempi erano un hobby quasi sconosciuto: la ricerca degli oggetti usati. Della pratica del riuso Victor Hugo fece un vero e proprio culto, a detrimento della serenità della serenità della consorte. Questa caccia, spesso spasmodica, spingeva lo scrittore francese anche nelle più remote viuzze di Parigi. Finì dunque per ingaggiare intense frequentazioni con i trafficanti (non di rado figure losche) di oggetti cose usate. Se era in viaggio, non sapeva resistere al richiamo di una vetrina di robivecchi: poi tornava a casa, immancabilmente, carico delle cose più strambe e stravaganti. La sua non era la ricerca metodica dell’intenditore, ma la sfogo di una fantasia poetica, incline a venerare le vestigia del passato. Anche se queste vestigia erano spesso, nel caso del suo hobby, ciarpame da rigattiere. Adele, la moglie, spirito eminentemente pratico, si diceva “inorridita” da questa invasione di cianfrusaglie. Mormoravano le malelingue dell’epoca che la consorte tirò un sospiro di sollievo quando il marito fu colpito dall’esilio politico: in questo modo avrebbe potuto liberarsi di tutti quegli oggetti, vendendoli all’asta. Ne ricavò quindicimila franchi: sperava di ottenerne di più. In una lettera a Victor, Adele si lamentava della sua mancanza di gusto nell’arredamento, considerando che egli era solito acquistare indiscriminatamente “stoffe usate, porcellane rotte, screpolate, incrinate”. Tuttavia Hugo fu irremovibile. Una volta arrivato, in qualità di esiliato, nelle Isole Normanne, cominciò a riempire la casa di nuove cianfrusaglie, artatamente mercanteggiate con i rigattieri del luogo.