Diceva Pasternak: “L’uomo è nato per vivere, non per prepararsi a vivere”. Vibrante è l’esortazione dello scrittore russo a disfarsi di un nocivo approccio teorico al quotidiano per favorire una condotta pragmatica che bandisca il superfluo e valorizzi la sostanza delle cose. Questa visione sembra riecheggiare nel libro di Antonella Lattanzi “Capire il cuore altrui. Emma, Flaubert e altre ossessioni”. Scrittrice e sceneggiatrice, la Lattanzi ha sempre subito il fascino di Emma, tanto da sentirla come una “sorella”, al pari di Flaubert che nella sua creatura aveva finito per identificarvisi. “Madame Bovary sono io” soleva dire.
Questa sorta di affinità elettiva conduce ad una riflessione profonda e stimolante sul rapporto tra l’individuo e la vita. Il valore universale incarnato da Emma si specchia nel desiderio, o meglio, nell’ossessione a migliorare la sua condizione esistenziale. Emma fa i suoi progetti e pensa che nel momento in cui si saranno realizzati, allora la vita, quella cui ardentemente aspira, inizierà davvero. Ma in questo atteggiamento (sarebbe da dire, in questa illusione) non ci si riconosce ciascuno di noi? Da questa aperta constatazione deriva il valore universale della sua figura.
E che cosa succede quando ci accorgiamo che la vita non comincerà mai, o che abbiamo perso il momento in cui abbiamo vissuto davvero?
L’autrice rilegge il capolavoro di Flaubert con sicura competenza e vivida passione, punteggiando la sua scrittura forbita con acute osservazioni. In tali osservazioni consiste – oltre agli incisivi rilievi critici legati alla riflessione sulle tematiche di carattere esistenziale – il maggior merito del libro. “Credo – afferma – che a chiunque legga Madame Bovary a un certo punto verrà in mente la parola ‘sinfonia’. Perché Flaubert scrive la realtà, e dentro la realtà ci sono il tangibile e l’intangibile, c’è ciò che si vede e ciò che non si vede, c’è la disperata necessità che esita un divino a consolarci, a risarcirci almeno un po’, e la consapevolezza che l’universo è di per sé spietato, e non ha alcun interesse per te”. E la Lattanzi, significativamente, aggiunge: “Come questo cielo color topo oltre la mia finestra, che potrei amara o non amare”.
Questa meditazione si raccorda al passo del romanzo, poco dopo la morte di Emma: “Charles Bovary era lontano. Camminava a grandi passi lungo il muro, accanto alla spalliera degli alberi da frutta, e digrignava i denti, gettava occhiate di maledizione verso il cielo. Non per questo una sola foglia si mosse”.
Nel rileggere questa frase, l’autrice dichiara: “Come poteva non essere denunciato dalla morale comune un libro così?” Un libro libero, “spietato” come l’universo. Un libro che non ha rispetto di nessuno, “neanche del cielo”.