Nel colpo di scena finale vibra il riscatto di Molly, la cameriera che lavora al Regency Grand Hotel. Molto timida, in difficoltà nell’intrattenere rapporti sociali, custodisce in sé un tesoro prezioso: un’ingenuità autentica che il prossimo cinico considera una debolezza (e cerca di trarne vantaggio). Tuttavia, alla prova dei fatti, tale ingenuità si configura come la via che porta alla scoperta della verità e all’affermazione del bene. Rigorosamente ligia alle regole, Molly saprà, nel momento decisivo, violarle (senza che nessuno se ne accorga) per raggiungere il suo obiettivo: stabilire una giustizia superiore alle miserie e alle contraddizioni di una società segnata dalla violenza e dalla corruzione.
Ha una spiccata dimensione sociale il thriller d’esordio “The maid” di Nita Prose. In un inglese elegante, con cui confeziona dialoghi serrati e brillanti, la scrittrice canadese crea uno scenario in cui si alternano, per poi intrecciarsi, il bene e il male, la sincerità e la dissimulazione, la disonestà e la bontà di cuore.
Molly è una professionista competente e integerrima. Il suo scopo è di riportare ogni stanza che pulisce “allo stato di assoluta perfezione”. La minima macchia e la più sfumata sbavatura la disturbano: ogni elemento che mina l’ordine pristino va cancellato senza mai cedere all’approssimazione, tanto meno alla sciatteria. Questo meritorio zelo non si limita al piano professionale: è pure testimonianza di una “pulizia interiore”, di una trasparenza della sua coscienza che spiazza tutti coloro che già la conoscono o che impareranno a conoscerla, come l’ispettore a capo delle indagini, la quale, in un primo momento, sospetterà di omicidio la stessa Molly.
Una mattina la cameriera ha trovato il cadavere di un milionario, ospite regolare dell’hotel, nella stanza dove si apprestava a fare le pulizie. Dopo che Molly ha informato i superiori del macabro ritrovamento, si innesca una girandola di avvenimenti gestisti dall’autrice con ritmo incalzante, fino allo svelamento della dinamica dei fatti che ha portato all’assassinio di un uomo malvagio. Più di una volta la protagonista sottolinea che in quanto cameriera viene considerata una persona “invisibile”. Se per caso viene “considerata”, è trattata con sufficienza, o in maniera scortese. Di questo fatto non si lamenta. Ella constata, con paziente lucidità, che la sua posizione sociale non spinge il prossimo a un sussulto di cortesia. Ma questo atteggiamento non scivola nella rassegnazione dei “vinti”, di verghiana memoria. Nell’animo di Molly, infatti, è forte la consapevolezza del suo valore come persona, che prescinde dalla sua condizione di “umile lavoratrice”. Una consapevolezza che risulterà decisiva nel venire a capo di una situazione intricata, smentendo clamorosamente gli altri personaggi della vicenda, i quali la ritenevano incapace di scelte fulminanti e di azioni coraggiose.
La sua figura di riferimento è l’amata nonna, la cui recente scomparsa l’ha gettata in uno stato di profonda tristezza, aggravando il suo già acuto senso di solitudine. La nonna le ha lasciato in eredità perle di saggezza che nei momenti di difficoltà – l’inchiesta seguita all’omicidio ne presenterà parecchi – le verranno in soccorso illuminandole il giusto cammino da percorrere. Nel segno di una sana fiducia, alimentata da una matura determinazione, Molly ripete spesso a sé stessa: “Ogni cosa alla fine si aggiusta, e se non si aggiusta, vuol dire che non è la fine”. Come pure spicca la frase (citazione dal teologo protestante Reinhold Niebuhr) che la cameriera elegge a guida del suo stile di vita: “Signore, dammi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare, e la saggezza di capire qual è la differenza”.